domenica 28 aprile 2013

Politici: col vizietto piacciono di più

Che belle favole ascoltavamo quando eravamo piccoli!
Con la loro struttura lineare, priva di ambiguità e l'interpretazione univoca, ci insegnavano a distinguere il bene dal male, con semplicità.
Suscitavano in noi emozioni intense: empatia, verso il tenero protagonista e naturale avversione per l'antagonista, lupo o strega che fosse, perfido attentatore alla virtù del giovane.
Ma, ahimè, nel mondo reale le cose non sono sempre evidenti e con colori così netti, per cui talvolta non è facile distinguere l'eroe dal mostro.
Oppure nel corso degli anni, l'essere umano si è confuso.
A tal punto che oggi per suscitare ammirazione, occorre essere eccessivi, dissoluti, almeno un po' disonesti ed esagerati; avere una vita a tinte forti, insomma.
Ed ecco che la squallida storia del vecchio politico, potente satiro col vizietto delle belle giovanette, provoca un moto di simpatia nell'opinione pubblica ed un'autentica attrazione (immedesimazione?) nei confronti del rugoso orco.
Ma  mio Dio , come può essere  possibile?
Da tempo, vergogna ed imbarazzo sono considerati sentimenti anacronistici,  rigurgiti di passato,  atteggiamenti desueti, sostituiti da una necessità smodata di farsi notare non necessariamente per valore o merito.
'Nel bene o nel male purchè se ne parli' è divenuto l'unico criterio alla base di certe forme di comunicazione e questo ha modificato i comuni parametri di valutazione morale: esposti come siamo a notizie aberranti, abituati a sentire di tutto, abbiamo perso la capacità di indignarci e la nostra soglia di accettazione si è elevata oltre misura.
La metamorfosi della morale pubblica, penso sia iniziata negli anni '70 con l'affermarsi dei  primi talk show, nuove formule di intrattenimento popolare e poco costoso.
Il salotto televisivo ospita poche celebrità, molte le persone comuni che si raccontano.
E' essenziale per questi 'signori nessuno', farsi notare, essere eccentrici, divenire 'personaggio' da invitare nuovamente.
Ed in mancanza di fatti significativi da esporre, si alzano i toni: ecco la televisione gridata nella quale è essenziale la forma di comunicazione e non il contenuto, pertanto i racconti sono sempre più  inconsistenti  e bizzarri ma l'energia e l'intonazione intensa, drammatica e ricca di pathos.
Prevale il parlare di niente: fatti di vita quotidiana, banalità che diventano happening.
E lo spettatore si conforma e si adatta, mentre inizia un irreversibile processo di desensibilizzazione; un po' come nella leggenda di re Mitridate che, ossessionato dal timore di morire avvelenato,  assumeva dosi crescenti di cianuro fino a diventare insensibile al suo effetto letale.
Tutto diventa spettacolo, il dolore, la diversità, la tragedia; cambia il modo di comunicare, di intervistare, di fare politica, mentre lo spettatore osserva con morbosità, guardando dal buco della serratura, origliando senza pudore, con indifferenza e cinismo.
Ed ecco che la spettacolarizzazione cambia irrimediabilmente le regole e la percezione della realtà: ha inizio un processo lento ed inesorabile  che rende quasi tutto accettabile.
A tal punto che il vecchio orco col vizietto  delle ragazzine, appare simpatico ed affascinante ad un gran numero di italiani.


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